Il periodo di prova nei contratti di lavoro alla luce del Decreto Trasparenza

20 Settembre 2022

Il Decreto Trasparenza, che recepisce la Direttiva UE 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione Europea, introduce significative novità su alcuni istituti fondamentali del diritto del lavoro quali, ad esempio, il periodo di prova, che non può essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalla contrattazione collettiva.

Nel nostro ordinamento, la disposizione che definisce il periodo di prova è l’art. 2096 del Codice Civile, mentre, per quanto riguarda la sua quantificazione, bisogna far riferimento al contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.

Secondo la predetta disposizione codicistica, infatti, la determinazione della durata del patto di prova è rimessa alla decisione delle parti, seppure nei limiti fissati dal contratto collettivo.

La nuova disciplina introdotta dal Decreto Trasparenza, D.lgs. n. 104 del 27 giugno 2022, non abroga o modifica la norma del Codice Civile; pertanto, oltre a restare valide le prescrizioni del predetto articolo, sono “salve”, altresì, le ricostruzioni interpretative elaborate dalla giurisprudenza sulla base della stessa.

Come noto, l’inserimento del periodo di prova nel contratto di lavoro permette alle parti contraenti di valutare la convenienza reciproca, sotto l’aspetto lavorativo, economico, di compatibilità caratteriale, della stabilizzazione del rapporto di lavoro.

Il patto di prova deve avere forma scritta ed essere sottoscritto in un momento antecedente o contestuale rispetto alla conclusione del contratto di lavoro, pena la nullità del patto stesso. Nel patto di prova devono essere indicate con precisione le mansioni affidate al lavoratore ai fini della prova, il ruolo che questi andrà a ricoprire, nonché la durata del periodo di prova stesso.

Le parti del contratto sono tenute a consentire, l’una, e a effettuare, l’altra, l’attività che forma oggetto del patto di prova. Durante il periodo di prova, ciascuna delle parti può, tuttavia, recedere dal contratto senza obbligo di preavviso.

Raggiunto il termine previsto, se nessuna delle parti esprime la volontà di recedere dal rapporto, la prova si ritiene automaticamente superata e il contratto prosegue in via definitiva, senza che sia necessario provvedere ad alcuna ulteriore formalità.

Il Decreto Trasparenza prevede, quindi, espressamente all’articolo 7, primo comma, che, ove sia previsto, il periodo di prova non possa essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi.

Il secondo comma dell’articolo interviene, poi, sul patto di prova apposto nei contratti a termine, fattispecie che sembra riferirsi anche al lavoro in somministrazione, stabilendo che nell’ambito di tali rapporti il periodo di prova debba essere determinato in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni affidate al lavoratore in prova. In caso di rinnovo del contratto, invece, per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto a un nuovo periodo di prova.

Il terzo comma dell’articolo 7, infine, stabilisce che in presenza di eventi che interrompono il rapporto, quali, ad esempio, la malattia, l’infortunio, il congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova deve essere prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza.

Queste le novità introdotte dalla nuova normativa che, come anticipato, recepisce una disciplina europea che ha come scopo di garantire ai cittadini comunitari condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.

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