Medesime condotte ma diverse sanzioni disciplinari: gli oneri del datore e del lavoratore

9 Febbraio 2023

La Suprema Corte ha statuito che sul datore di lavoro non grava alcun obbligo di provare l’equità del trattamento riservato a due dipendenti cui siano state comminate, per una medesima condotta, due sanzioni disciplinari di diversa natura.

Con la sentenza n. 22115/2022, la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sul dovere del datore di lavoro di giustificare l’applicazione di provvedimenti di diversa entità a due dipendenti cui era imputata la commissione di una medesima condotta sanzionabile ai sensi del codice disciplinare interno.

Più nello specifico, un dipendente veniva licenziato per giusta causa (quindi, senza preavviso) dal proprio datore per aver operato in maniera negligente e aver così causato un incidente sul luogo di lavoro. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello competenti, investiti del caso, avevano ritenuto legittime le motivazioni della società, respingendo le doglianze dell’ex dipendente che, pertanto, si rivolgeva alla Suprema Corte di Cassazione al fine di vederle accolte.

In particolare, il lavoratore lamentava che condotte pari a quella a lui contestata e, conseguentemente, valse il suo licenziamento, fossero state, in passato, contestate ad altri dipendenti della medesima società; al termine dei relativi procedimenti disciplinari, tuttavia, essi si erano conclusi con sanzioni conservative e non, come era successo nel suo caso, con l’allontanamento dal posto di lavoro. Ritenendo, pertanto, che, come avvenuto per i propri colleghi, anche nel suo caso sarebbe stato ragionevole irrogare una sanzione conservativa, quest’ultimo richiamava alcune passate pronunce della Suprema Corte la quale, negli anni, si era espressa per il riconoscimento di uguali sanzioni per le medesime condotte dei dipendenti di uno stesso datore.

A prescindere dal fatto che il ricorso presentato sia poi stato definito inammissibile, gli Ermellini hanno comunque analizzato la fondatezza delle domande avanzate dal ricorrente, approfondendo il testo delle pronunce ivi indicate a sostegno delle stesse. In questo senso, la Corte ha superato gli obiter dicta riportati dal dipendente, chiarendo che, ove ricorrano circostanze quali quelle analizzate nel caso di specie, non sia possibile “porre a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe”.

In altre parole, gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene la comminazione di una sanzione disciplinare vada sempre motivata dal datore che la adotta, essa non richiede ulteriori giustificazioni quali eventuali paragoni con altri provvedimenti applicati ad altri dipendenti, seppur per condotte di simile natura: non occorre, dunque, dover offrire al dipendente sanzionato dei parametri di proporzionalità rispetto al trattamento disciplinare riservato ad altri colleghi. Al contrario, invece, la lamentata disparità di trattamento, come invocata nel giudizio de quo, dovrà emergere nel corso del procedimento stesso, sulla base delle prove fornite dal dipendente che lamenti di aver subito un danno causato da un trattamento diverso rispetto a quello riservato, a parità di condizioni, ad altri suoi pari. In questo senso, concludono gli Ermellini, “il profilo allegatorio e probatorio assume valore essenziale, al fine di consentire al giudice di merito il concreto apprezzamento di similarità di situazioni trattate, irragionevolmente, in maniera differente”.  

Nel caso di specie, la Corte ha giudicato le doglianze di parte ricorrente generiche e carenti di ulteriori dettagli utili, tanto da non poter essere considerate ai fini di una valutazione volta all’identificazione di una ingiusta discrepanza di trattamento, per come contestata dal ricorrente.

Con la sentenza n. 22115/2022, la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sul dovere del datore di lavoro di giustificare l’applicazione di provvedimenti di diversa entità a due dipendenti cui era imputata la commissione di una medesima condotta sanzionabile ai sensi del codice disciplinare interno.

Più nello specifico, un dipendente veniva licenziato per giusta causa (quindi, senza preavviso) dal proprio datore per aver operato in maniera negligente e aver così causato un incidente sul luogo di lavoro. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello competenti, investiti del caso, avevano ritenuto legittime le motivazioni della società, respingendo le doglianze dell’ex dipendente che, pertanto, si rivolgeva alla Suprema Corte di Cassazione al fine di vederle accolte.

In particolare, il lavoratore lamentava che condotte pari a quella a lui contestata e, conseguentemente, valse il suo licenziamento, fossero state, in passato, contestate ad altri dipendenti della medesima società; al termine dei relativi procedimenti disciplinari, tuttavia, essi si erano conclusi con sanzioni conservative e non, come era successo nel suo caso, con l’allontanamento dal posto di lavoro. Ritenendo, pertanto, che, come avvenuto per i propri colleghi, anche nel suo caso sarebbe stato ragionevole irrogare una sanzione conservativa, quest’ultimo richiamava alcune passate pronunce della Suprema Corte la quale, negli anni, si era espressa per il riconoscimento di uguali sanzioni per le medesime condotte dei dipendenti di uno stesso datore.

A prescindere dal fatto che il ricorso presentato sia poi stato definito inammissibile, gli Ermellini hanno comunque analizzato la fondatezza delle domande avanzate dal ricorrente, approfondendo il testo delle pronunce ivi indicate a sostegno delle stesse. In questo senso, la Corte ha superato gli obiter dicta riportati dal dipendente, chiarendo che, ove ricorrano circostanze quali quelle analizzate nel caso di specie, non sia possibile “porre a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe”.

In altre parole, gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene la comminazione di una sanzione disciplinare vada sempre motivata dal datore che la adotta, essa non richiede ulteriori giustificazioni quali eventuali paragoni con altri provvedimenti applicati ad altri dipendenti, seppur per condotte di simile natura: non occorre, dunque, dover offrire al dipendente sanzionato dei parametri di proporzionalità rispetto al trattamento disciplinare riservato ad altri colleghi. Al contrario, invece, la lamentata disparità di trattamento, come invocata nel giudizio de quo, dovrà emergere nel corso del procedimento stesso, sulla base delle prove fornite dal dipendente che lamenti di aver subito un danno causato da un trattamento diverso rispetto a quello riservato, a parità di condizioni, ad altri suoi pari. In questo senso, concludono gli Ermellini, “il profilo allegatorio e probatorio assume valore essenziale, al fine di consentire al giudice di merito il concreto apprezzamento di similarità di situazioni trattate, irragionevolmente, in maniera differente”.  

Nel caso di specie, la Corte ha giudicato le doglianze di parte ricorrente generiche e carenti di ulteriori dettagli utili, tanto da non poter essere considerate ai fini di una valutazione volta all’identificazione di una ingiusta discrepanza di trattamento, per come contestata dal ricorrente.

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