Legge applicabile al contratto di lavoro e rispetto dei principi ad applicazione necessaria

3 Agosto 2023

Quando si conclude un contratto che – in virtù della cittadinanza delle parti o del luogo di esecuzione delle attività – coinvolga più di una giurisdizione, i soggetti coinvolti sono chiamati ad operare una scelta rispetto alla legge che regolerà il loro rapporto di lavoro. Sebbene non vi siano limiti alla possibilità di scelta, essa dovrà, comunque, tenere in considerazione che i termini e le condizioni di detto contratto non dovranno scontrarsi con i principi di applicazione necessaria della legge del Paese in cui è previsto che l'attività lavorativa venga svolta in via principale.

Le parti di un contratto di lavoro sono libere di scegliere qualsiasi legge straniera per regolare il loro rapporto. Tuttavia, in virtù dell’applicazione da parte dei Paesi interessati di apposite convenzioni internazionali (o Regolamenti Europei, all’interno UE), tale scelta non deve pregiudicare i diritti riconosciuti al lavoratore dalla legge applicabile al rapporto in assenza di scelta o contrastare con i principi di applicazione necessaria vigenti nella giurisdizione del luogo di materiale di esecuzione delle attività lavorativa.

Nel caso in cui quest’ultimo risulti essere il territorio italiano, le specifiche disposizioni inderogabili di cui in argomento sono state, nel tempo, definite dalla giurisprudenza di riferimento, fino a compilarne una elencazione che tocca diversi aspetti del rapporto di lavoro come, ad esempio, la salute, la sicurezza e l'igiene sul lavoro, le misure di protezione relative ai termini e alle condizioni dei congedi parentali, nonché la parità di trattamento tra uomini e donne e, in generale, le regole poste a fondamento dei principi di non discriminazione.  

Inoltre, il carattere cedevole dei principi e delle norme indicati dalla legge prescelta dalle parti rispetto a quella italiana si riscontra anche nel caso in cui tali disposizioni siano manifestamente incompatibili con l'ordine pubblico del nostro Paese.

In questo senso la giurisprudenza di legittimità torna ad essere dirimente, attraverso le pronunce rese sinora in materia. In Italia, ad esempio, il cosiddetto "licenziamento discrezionale" (i.e., “termination at will”) non può essere attuato, in quanto si scontra con il principio fondamentale accolto dal nostro ordinamento secondo il quale il licenziamento – salvo che in casi eccezionali, ai quali è comunque riconosciuta una tutela di origine collettiva – debba essere fondato su legittime ragioni, organizzative o disciplinari, e, dunque, non rimesso all’arbitrio del datore di lavoro; in questa medesima direzione si colloca l’impossibilità di accettare la mancanza di rimedi contro il licenziamento illegittimo, in quanto è parte integrante del corpus di regole di protezione fondamentali riservate al lavoratore subordinato il diritto di quest’ultimo al risarcimento del danno subito in caso di licenziamento comminato per un motivo non ammesso dalla legge.

Ancora, non sarebbe accettabile una clausola che preveda il licenziamento del dipendente in caso di malattia, poiché essa si scontrerebbe con il diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo durante l'assenza dovuta all’insorgenza di stati patologici. Un altro esempio calzante è la possibilità che la legge regolatrice scelta non preveda una procedura disciplinare equa in caso di condotta negligente del dipendente, in quanto ciò non rispetterebbe il principio del giusto processo e della giusta difesa applicato alla disciplina del lavoro nel nostro ordinamento.

Infine, è importante ricordare che qualora alcuni termini e condizioni tipici dei rapporti di lavoro godano di una tutela specifica ai sensi della legge e della Costituzione, i competenti Tribunali del Lavoro potrebbero utilizzare i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro maggiormente rappresentativi nel settore come parametro di riferimento per tali condizioni (ad esempio, rispetto alla misura del periodo di comporto).

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