La prova del danno da demansionamento

2 Aprile 2024

La prova del danno da demansionamento può essere fornita anche attraverso l’allegazione di presunzioni.

Con l’ordinanza n. 6275 dell’8 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che, anche se è vero che il danno da demansionamento non è in re ipsa, la prova dello stesso può essere data anche per presunzioni.

Il caso prende le mosse da ricorso di un lavoratore che lamentava di aver subito un danno conseguente al demansionamento posto in essere dal proprio datore di lavoro. In particolare, il dipendente richiedeva l’accertamento del danno professionale e patrimoniale, e il relativo risarcimento.

I giudici di primo e secondo grado rigettavano il ricorso, contrariamente a quanto fatto, poi, dalla Corte di Cassazione che, intervenuta, accoglieva la domanda di risarcimento del lavoratore. La Corte rileva, infatti, che il danno da demansionamento non è in re ipsa, tuttavia, la prova di tale danno può essere data, ai sensi dell’articolo 2729 del Codice Civile, che stabilisce che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla valutazione del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.

La predetta norma esprime, da un lato, il principio della libera valutazione da parte del giudice del ragionamento presuntivo e, dall'altro, prevede due limitazioni all'ammissibilità delle presunzioni. La Corte di Cassazione, infatti, è solita richiedere al danneggiato di allegare e provare non soltanto il danno evento, ma anche il danno conseguenza, proprio perché non è possibile ammettersi il riconoscimento del danno in re ipsa.

Spiega, infine, la Corte che, possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.

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