La norma di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è stata modificata nella stagione di riforme legislative varate tra il 2014 e il 2016 (c.d. “Jobs Act”). Tali modifiche hanno comportato una maggiore libertà in capo al datore di lavoro, con l’introduzione di un bilanciamento di valori tra la tutela alla riservatezza del lavoratore e la difesa del patrimonio aziendale. Di seguito, un’analisi dei singoli elementi del nuovo testo normativo e delle concrete possibilità offerte all’imprenditore al fine di difendere i propri interessi aziendali. Quando un imprenditore ritiene che l’attività o il patrimonio aziendali siano messi a rischio da condotte illecite o infedeli dei propri dipendenti, gli è consentito di effettuare dei controlli che sfuggono alla rigida procedimentalizzazione di all’art. 4 della legge n. 300/1970, facendo cedere il generale diritto alla riservatezza dei lavoratori innanzi alla libertà imprenditoriale (anch’essa tutelata nella nostra Costituzione). Tuttavia, tale facoltà può essere esercitata legittimamente, secondo la giurisprudenza, soltanto ove fondata su di un sospetto tale da giustificarne l’invadenza nella sfera personale dei dipendenti. È di tutta evidenza, però, che, in assenza di una chiara delimitazione legale di una tale interferenza, ove la stessa dovesse essere ritenuta ingiustificata, potrebbe comportare la condanna del datore al risarcimento del danno subìto dal lavoratore oggetto di indagine, oltre all’inutilizzabilità ai disciplinari e processuali delle evidenze eventualmente raccolte. Per provare a districarsi in un tale contesto e ridurre il rischio di sconfinare da un legittimo controllo difensivo nella violazione del diritto alla riservatezza dei lavoratori non resta, dunque, che ricorrere alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza con quelle pronunce con le quali ha tentato di definire e delimitare cosa debba intendersi per “fondato sospetto”. Ad esempio, è stato ritenuto lecito il controllo effettuato sui file di login (il cui oggetto consentiva di individuare le e-mail inoltrate all'esterno dall'account aziendale del dipendente) a seguito di un alert del sistema informatico aziendale. Tali file non sono stati considerati annoverabili tra gli strumenti utilizzati dal dipendente per rendere la prestazione lavorativa e, pertanto, le risultanze derivate dal controllo effettuato hanno giustificato la lesione del rapporto fiduciario con il dipendete, sicché quest’ultimo è stato infine licenziato – legittimamente – per giusta causa (Cass. Civ., Sez. Lav., sent. N. 34092/2021). E ancora, la diffusione di un virus nella rete aziendale causata dall’accesso del lavoratore a siti web evidentemente visitati per ragioni private, di cui il datore era venuto a conoscenza a seguito dell’intervento e dell'accertamento dell’amministratore del sistema informatico, è stato ritenuto integrasse un fondato sospetto per il controllo datoriale (Cass. Civ., Sez. Lav., 25732/21); così come l’inattività per periodi di diverse ore e a intervalli regolari di un ausiliario del traffico rilevata dal palmare in dotazione, dal quale la centrale di riferimento non riceveva per detti periodi alcuna comunicazione, a seguito della quale è stata disposta attività investigativa sul dipendente (Tribunale di Padova, Sez. Lav., n. 271/2020). Diversamente, invece, non è stata ritenuto sufficientemente fondato il sospetto maturato da un datore di lavoro su due dipendenti (tra loro coniugati) a causa della contestualità delle assenze di entrambi, seppur giustificate da regolare certificato medico. Sebbene le investigazioni effettuate dall’imprenditore abbiano dimostrato che, durante tali giorni di assenza, i propri dipendenti avessero prestato attività presso l’esercizio commerciale di cui i figli degli stessi erano titolari, il licenziamento degli stessi seguito a tale condotta è stato, poi, dichiarato illegittimo proprio in quanto il Giudice non ritenuto fondato il sospetto di illecito in relazione ai dati a disposizione del datore quando ha disposto l’indagine (Tribunale di Varese, Sez. Lav., sent. del 3 luglio 2013). Di recente, anche la Corte EDU si è esposta sul tema (sentenza del 17 ottobre 2019, n. 85 67). Nel caso di specie, il direttore di un supermercato spagnolo rilevava degli importanti ammanchi e generali irregolarità tra lo stock del negozio e le vendite, quantificati in circa 80mila Euro nel corso di cinque mesi. Sulla base di questo sospetto, erano pertanto state installate delle telecamere a circuito chiuso, visibili e nascoste, le cui registrazioni avevano infine evidenziato le condotte illecite, tra gli altri, anche di alcuni cassieri, sorpresi a rubare rilevanti quantità di prodotti. Risulta interessante sottolineare che, adita la Corte EDU su quanto accaduto, i ricorrenti abbiano ritenuto che vi fosse stata una grave violazione, in loro danno, dell’art. 8 della Carta dei diritti, i cui principi già in passato erano stati indicati dalla Corte come applicabili anche all’ambito di lavoro (come è noto, detta norma prescrive il rispetto, più in generale, della vita privata e familiare). La Corte, tuttavia, decideva, nel caso analizzato, per la liceità del mezzo di controllo utilizzato, seppur occulto, ritenendo fondato il sospetto posto alla base dei provvedimenti, poiché motivato dalla supposta commissione di gravi illeciti. In conclusione, nonostante il concetto di “fondato sospetto” non goda di una precisa definizione giuridica, la dottrina e la giurisprudenza più recenti sembrano ammettere il ricorso al controllo datoriale giustificato da una tale motivazione entro argini intrepretativi alquanto ristretti: esso verrebbe, infatti, integrato ogni qualvolta la minaccia di una condotta colpevole posta in essere dal dipendente sia suscettibile di una valutazione fattuale immediata e connessa a fatti penalmente rilevanti, o comunque, idonei a cagionare considerevoli pregiudizi economici o danni ingenti al patrimonio aziendale.