L’applicazione della giusta causa ex art. 2119 c.c. ai rapporti di agenzia

20 Settembre 2022

Il rapporto di lavoro degli agenti è stato per molto tempo al centro di un dibattito dottrinale con riferimento alla effettiva natura dello stesso. Oggi, dinanzi l’apparente accordo sull’inquadramento dello stesso nell’alveo autonomia, restano accesi gli scontri su alcuni specifici elementi – uno di questi riguarda l’istituto della giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., meglio analizzato nella presente trattazione.

Ai sensi dell’art. 1453 c.c. (rubricato “risolubilità del contratto per inadempimento”), nei rapporti contrattuali nei quali una delle parti si renda inadempiente nei confronti dell’altra con riferimento alle obbligazioni scaturenti da detto rapporto, alla parte adempiente è data facoltà di recedere dal rapporto stesso. In casi del genere, tale articolo prevede che, a seguito di tale evento, il contraente nei confronti dei quali si sia verificato l’inadempimento possa richiedere che l’obbligazione venga comunque portata a termine nonostante l’eventuale superamento dei termini inizialmente stabiliti e ove ne abbia ancora interesse o, in alternativa, procedere con la richiesta di risoluzione dell’intero contratto, con conseguente diritto al risarcimento del danno subito quale conseguenza dell’inadempimento stesso.  

Accanto a questo tipo di tutela, sia la dottrina che la giurisprudenza sono ormai in accordo nell’affermare la possibilità di applicare ai rapporti di agenzia, in via analogica rispetto a quelli a carattere subordinato, anche il rimedio esperibile ai sensi dell’art. 2119 c.c., in forza del quale la parte contraente che non abbia ricevuto la giusta esecuzione dell’obbligazione per come descritta nella pattuizione di riferimento (nei casi qui esaminati, si tratterà del relativo contratto di agenzia), ha diritto di recedere dal contratto senza obbligo di preavviso nei confronti dell’altra parte purché, data la natura del rapporto tra loro intercorrente, l’inadempimento sia talmente grave da essere identificato quale valido motivo di risoluzione per “giusta causa”.

Sebbene, come detto, la giurisprudenza (di merito e di legittimità) si sia già espressa nel senso di riconoscere pacificamente l’applicabile tale disposizione ai rapporti di agenzia, è bene, tuttavia, esaminare la particolare accezione che in diverse pronunce è stata data dell’istituto del recesso per giusta causa in tali rapporti.

Come detto, infatti, il rapporto di agenzia non può essere inquadrato all’interno del lavoro subordinato cui, tipicamente, si applicano le previsioni di cui all’art. 2119 c.c. Ciò che, infatti, ne giustifica l’applicazione anche ai rapporti qui in esame è lo stringente legame fiduciario che unisce il cliente all’agente.

L’intuitus personae che, dunque, caratterizza tali rapporti, determina che perché si verifichino eventi che integrino una giusta causa di risoluzione, in costanza di un rapporto di agenzia, sia necessario che la condotta posta in essere da una delle parti sia talmente grave da intaccare, in maniera irrecuperabile, il relativo rapporto fiduciario.

Anche la Suprema Corte di Cassazione (cfr. sentt. nn. 22285/2015; 11728/2014), richiamata dalla più recente sentenza del Tribunale di Milano (Sez. XI, n. 820/2022), ha chiarito che nel contratto di agenzia il rapporto di fiducia assume “maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato”; ciò, prosegue il Tribunale, in forza del più alto grado di autonomia di cui l’agente gode nel raggiungere gli obiettivi previsti all’interno del contratto che definisce i termini del rapporto di lavoro.

Date l’indipendenza e l’autonomia della figura dell’agente nonché, di conseguenza, l’assenza di vincoli nella gestione della propria attività, tipica del ruolo ricoperto dall’agente nei confronti del cliente che lo assuma, le medesime condotte eseguite da quest’ultimo finiscono per avere un peso diverso rispetto all’eventulità in cui esse siano poste in essere da un dipendente – la cui figura è, come noto, contraddistinta dal fondamentale elemento dell’eterodirezione nell’esecuzione della prestazione lavorativa: ciò non può che tradursi in una minore autonomia e, dunque, una capacità potenzialmente inferiore di causare nocumento alla controparte.

Nei confronti dell’agente, dunque, l’affidamento al fatto che questi ponga in essere condotte misurate e valide rispetto all’autonomia riconosciuta comporta che vi sia una aspettativa di maggior fiducia che, pertanto, rischia con una più alta frequenza di essere disattesa, con la conseguenza della cessazione definitiva del rapporto.

Infine, nella sentenza citata, il Tribunale di Milano ha proseguito la propria disamina nel senso di un approfondimento in tema di regime probatorio con riferimento alla dimostrazione della gravità della giusta causa nel rapporto di agenzia, tale da giustificare il recesso immediato dal rapporto stesso. In particolare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., il giudice di merito ha confermato che spetti a chi esercita il diritto di recesso (nei termini in oggetto alla presente trattazione) fornire prova della sussistenza della giusta causa medesima e, quindi, “dello specifico fatto illecito e/o dell’inadempimento posto a sostegno della giusta causa”, anche qui richiamando diverse pronunce dell Suprema Corte, la quale si era già espressa nei medesimi termini.

In conclusione, alla luce di quanto sopra, non può che dedursi che l’applicazione dell’art. 2119 c.c. al rapporto di lavoro dell’agente sia senz’altro pacifica, seppur in termini valoriali sensibilmente diversi da quelli tipici della sua applicazione al rapporto di lavoro subordinato. Tale differenziazione, tuttavia, non si riverbera sull’onere dalla prova della sussistenza della giusta causa, che segue le ordinarie previsioni in tal senso – compresa quella relativa all’applicazione dei principi di cui all’art. 1218 c.c., ai sensi del quale, ove il recesso si fondi su un inadempimento contrattuale della controparte, chi richiede il risarcimento del danno da esso derivante è chiamato unicamente a dar prova dell’esistenza della fonte (legale o negoziale) dell’obbligazione che si assume inadempiuta, lasciando alla propria controparte l’onere di provare il proprio esatto adempimento, che solo in caso di successo in tal senso sarà liberato da ogni eventuale resposabilità a ciò connessa.   

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